La diffusione del gatto in europa

I mercanti fenici, da sempre abili nel commercio e nel baratto, hanno contribuito alla diffusione del gatto, animale sacro e protetto, in Europa: sembrerebbe infatti che i Fenici riuscirono ad esportare di contrabbando vari esemplari di questi animali sacri molto richiesti dai Greci, che ne conoscevano l’esistenza già nel periodo arcaico, più efficaci delle donnole e delle faine nella bonifica di topi e serpentelli.

Sono molte le testimonianze del commercio di gatti: una statua d’avorio a forma di gatto datata 1700 a.C., ad esempio, è stata trovata dalle parti di Hashish, in Palestina; una testa felina modellata in terracotta e datata 100 a.C. è stata ritrovata con provenienza dell’isola di Creta.

In epoca tolemaica si infittirono gli scambi fra Alessandria, capitale d’Egitto, ed i liti mediterranei: la proibizione all’esportazione ebbe fine ed il gatto non più considerato divinità risali fino in Europa seguendo il percorso delle conquiste romane.

Il gatto africano si è quindi diffuso nei secoli successivi in tutta Europa: i Romani, a differenza del popolo egiziano, non mostrarono mai la stessa considerazione per i gatti, ritenendoli semplicemente ottimi cacciatori di topi e simbolo di vittoria.

Fenici, Greci e Romani sono stati i maggiori artefici della divulgazione del gatto a pelo corto noto come razza europea, come ci segnala il sito Cosedigatti, e le tradizioni relative ai gatti erano molteplici:

  • La repubblica di Genova li assumeva con regolare stipendio;
  • Sulle navi veniva ingaggiata una coppia di gatti a salvaguardia del carico e delle stive;

Anche Cristoforo Colombo partì per l’America con due gatti per ogni caravella e una leggenda narra che lo stesso Colombo volle portare con sè più gatti durante i successivi viaggi per barattarli con tacchini (che furono introdotti in Europa proprio da lui).

Il tipo originale del gatto aveva il mantello tigrato, da cui poi per mutazione si sono originati gli altri mantelli: lo testimoniano vari dipinti, ffreschi e rappresentazioni del gatto eseguiti in tempi antichissimi, ritrovati e conservati sino ad oggi.

Il responsabile del gene delle tigrature, insieme agli alleli tabby, è il gene A (aguti) che è la colorazione base, il fondo sul quale sembra dipinto il disegno.

Aguti è una parola di origine indiana utilizzata per disegnare un roditore dell’America del Sud: il termine è usato invece in genetica per descrivere il colore selvatico frequente nei mammiferi ed in particolare nel coniglio.

In natura, sia nei grossi felini che nei gatti selvatici, questa colorazione di fondo e le tigrature che sembrano sovrapposte sono molto diffuse ed è grazie a queste che si agevola il mimetismo del mantello. i gatti tigrati hanno una colorazione di fondo grigio – giallastra e tigrature più scure che intrecciandosi danno origine ad un particolare disegno.

Si ottengono in questo modo i tre tipi di mantello che conosciamo dei gatti:

  • Il tabby tigrato (tigrato con linee nette verticali non interrotte, simile a quello della tigre)
  • Il tabby maculato, a macchie ben nette e separate (come quello del ghepardo)
  • Il tabby blotched, dove sul dorso si notano tre linee verticali, una centrale dalla testa alla coda ed altre due parallele a questa, ben evidenti e separate. Sui fianchi e sulle spalle è presente un tipico disegno a faralla in cui le ali superiori ed inferiori sono nettamente disegnate

È molto importante conoscere la diversificazione di questi mantelli poiché proprio nell’Europeo sono presenti in moltissime varietà e, ad ognuna di esse, corrisponde un codice numerico che classifica i soggetti al fine della partecipazione ad esposizioni e come riconoscimento nei relativi pedigree.

Author: Valentino

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